Deportazione per scherzo


Calati nella parte: sei una donna di trent’anni in fuga dal tuo Paese, che da tempo è sprofondato in una crisi economica e sociale tale da impedirti di comprare il cibo per la tua famiglia. Prendi con te il minimo indispensabile, i tuoi figli, e ti dirigi verso il confine. Nel cuore hai fissato la speranza di una Terra promessa. E per arrivarci sei disposta a consegnare i tuoi ultimi risparmi a mercanti di esseri umani senza scrupoli, attraversando a piedi uno dei territori più pericolosi del mondo.

È una storia comune a moltissime persone, invischiate in una rotta migratoria di cui alle nostre latitudini si parla poco: secondo le stime, più di un quinto degli abitanti del Venezuela si è messo in viaggio in cerca di una vita migliore. Sono sette milioni di persone: la più grande migrazione della storia dell’emisfero australe. I venezuelani che approdano al confine meridionale degli Stati Uniti sono quasi triplicati negli ultimi anni, e costituiscono la seconda nazionalità più rappresentata fra i più di 2 milioni di persone arrestate dalle autorità di frontiera nel 2022.

La storia di quell’ipotetica migrante senza nome passa per il cosiddetto tappo del Darién, la giungla selvaggia al confine tra America centrale e meridionale che chi vuole arrivare negli Usa percorre a piedi, guadando fiumi e scalando montagne: è un territorio aspro, ostile e piagato da bande di predoni che prendono di mira le carovane di migranti derubando e stuprando le donne (qui un breve documentario di Medici Senza Frontiere). Quindi continua fino al confine americano, per finire arrestata dalla polizia di frontiera e posta in custodia federale, in attesa delle procedure di richiesta di asilo o rimozione dal territorio statunitense.

È qui che negli ultimi giorni è accaduto qualcosa di inedito: a San Antonio, nei pressi di un centro di prima accoglienza, una donna – presentatasi col nome di Perla – si è avvicinata a diversi gruppi di venezuelani e ha offerto loro degli omaggi per un fast food; poi ha iniziato a parlargli di un volo gratis per un «rifugio» a loro destinato, dove avrebbero potuto trovare ciò che cercavano: lavoro, un po’ di soldi, qualcosa per sbarcare il lunario. Quel posto si trovava in Massachusetts, aveva spiegato Perla.

«Perla» era però un’emissaria del governatore repubblicano della Florida Ron DeSantis – il probabile sfidante di Donald Trump alle primarie della destra per le prossime presidenziali – e la sua offerta una truffa senza scrupoli: i venezuelani, dopo averla accettata entusiasticamente, si sono trovati a Martha’s Vineyard, una località di villeggiatura della costa Est storicamente frequentata dall’élite liberal (una Capalbio americana, grosso modo), che si trova a più di 3300 chilometri dal Texas.

Non ci si può girare intorno: il possibile prossimo candidato della destra americana alla Casa Bianca ha volontariamente truffato persone ridotte allo stremo per organizzare una messinscena mediatica. Il fine precipuo di questa crudele pagliacciata è quello di own the libs, cioè fare incazzare i progressisti, come dicono gli americani. DeSantis ha volutamente speso soldi pubblici per trasferire dozzine di migranti in un luogo impreparato da accoglierli, generando problemi logistici a catena.

Quello di Martha’s Vineyard è solo uno dei casi balzati ai disonori della cronaca: in segno di rimostranza simbolica (ma direi più che altro puerile), i governatori repubblicani degli Stati di confine hanno passato gli ultimi tempi a mandare richiedenti asilo nelle ricche città tendenzialmente di sinistra della East Coast. Il governatore del Texas Greg Abbott ha prenotato un autobus per trasferire a New York 50 migranti venezuelani, che secondo il sindaco Eric Adams hanno ingolfato ulteriormente i dormitori per senzatetto della città; altri autobus sono arrivati a Washington; due mezzi colmi di persone sono stati inviati direttamente alla residenza della vicepresidente Kamala Harris. E per qualche giorno si è parlato anche di un possibile volo diretto a casa di Joe Biden, in Delaware.

Si tratta, insomma, dell’incredibile attuazione del vecchio trucchetto retorico para-xenofobo del «prendeteli a casa vostra», che non sembra cambiare a seconda della latitudine: non è un caso che la stampa italiana negli ultimi anni si sia concentrata sull’accoglienza dei profughi proprio nella stessa Capalbio, considerata la capitale morale di una mai verificata ipocrisia della sinistra sulla questione migranti.

Il punto è che al centro di questi giochini tra fronti contrapposti ci sono persone in fuga da guerre, carestie, miseria; persone che, nel caso americano, stanno arrivando a migliaia a New York e Washington per trovarsi costrette a dormire in rifugi per indigenti o, quando sono meno fortunate, sulle panchine e nei parchi; persone che hanno il diritto – anche legale – a cercare una vita migliore negli Stati Uniti, e si sono trovate irretite in una sceneggiata di bassissima politica.

Se il giudizio morale su questa sordida vicenda è indubbio per chiunque, personalmente spero che anche quello legale possa mettersi al passo: non è esagerato accostare questa vicenda a una sorta di orribile traffico di esseri umani istituzionalizzato. E se penso che è stato ideato, organizzato e messo in atto da esponenti di punta di un partito votato da metà degli americani... vabbè, non ci penso.

Altre news dal fronte

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  • In Australia alcuni arditi vogliono chiedere alle autorità regolatrici dei prodotti cinematografici di inserire una classificazione per le scene contenenti sesso non consensuale, che a loro dire «normalizzerebbero» questi atti;
  • Altra parolina che ti insegno gratis: ratioed. Si dice di un post – specie su Twitter – il cui rapporto (ratio, appunto) tra like e condivisioni/commenti pende pericolosamente verso questi ultimi, segnalando che quel contenuto è verosimilmente finito nell’occhio del ciclone. Ecco: questo pezzo dell’Atlantic contro la divisione per genere sessuale degli sport è stato ratioed.

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