Manuale per non farsi cancellare

Caro Davide, qualche giorno fa sono stato intervistato da Wired e in preda alla folie des grandeurs ho dichiarato: «Sono l’Elon Musk del politicamente corretto». 

In effetti come sai ho creato uno strumento chiamato PCorrector, un’intelligenza artificiale in grado di valutare – a partire dai principi che ho enucleato nel mio nuovo libro La regola del gioco – in quale misura un testo possa risultare problematico™ per la sensibilità contemporanea.

Tu scrivi una frase e PCorrector ti dice se è problematica oppure no, ti spiega perché e infine ti propone una riformulazione. Ogni tanto l’intelligenza artificiale esagera con le precauzioni, ma visto che anche gli esseri umani spesso esagerano con le reazioni direi che siamo a posto. Potete provarlo voi stessi. L’algoritmo dell'autocensura, l’ha definito il quotidiano La Verità. Cos’ho da dire a mia discolpa?

Ok, PCorrector ogni tanto è un po’ puntiglioso.

Ovviamente io non sono l’Elon Musk del politicamente corretto. Sia perché il funzionamento di PCorrector è molto più semplice del complicato sistema di leve fiscali e provocazioni mediatiche che ha reso il patron di Tesla l’uomo più ricco del mondo, sia perché non credo davvero che questo strumento vada generalizzato. Ho semplicemente fatto un esperimento che mostra come, con delle istruzioni abbastanza precise, con qualche conoscenza dei temi più caldi del dibattito pubblico, sia possibile individuare in anticipo gli elementi di un testo che possono suscitare polemica. 

(Ora faccio una digressione. C’è ancora gente convinta che le nuove intelligenze artificiali sarebbero dei calcolatori che forniscono risposte “logiche”, tutt’al più distorte da qualche bias o pregiudizio, ma è assolutamente il contrario: le intelligenze artificiali buttano fuori, in forma strutturata, le cose che gli abbiamo messo dentro noi, e in quanto tali non ci fanno accedere a nessuna verità superiore, tipo il “42” di Douglas Adams, sono soltanto dei motori di ricerca molto avanzati).

Comunque questa cosa del correttore ha fatto ammattire tutti. Io, Raffaele Alberto Ventura, sarei dunque diventato un ideologo del wokismo? Beh, bisognerebbe leggere il mio nuovo libro per saperlo. Direi semmai che dietro a concetti come woke stanno trasformazioni sociali che vanno ben oltre il moralismo fastidioso di un pugno di attivisti over-educated e di manager impegnati nel rainbow-washing. Quali trasformazioni? In breve direi: la fine di una lunga parentesi di pace civile e di libertà d’espressione quasi assoluta, che però nascondeva profondi squilibri.

Quanta acqua è passata sotto i ponti, da quando su Wired usciva il mio articolo in cui già affrontavo la questione, dal titolo: «La cattiva notizia è che la cancel culture esiste eccome». Era rivolto contro un pugno di puntigliosi rompicoglioni impegnati a gaslightare* le masse ignoranti dalle pagine di qualche sito di fact-checking, insistendo per dire che la cancel culture non esiste.

In realtà quel titolo glielo avevi dato tu, abilissimo Davide, perché il mio era: «Il politicamente corretto esiste ed è inevitabile». Diverse connotazioni di uno stesso ragionamento, che possiamo virare al positivo o al negativo ma che resta sostanzialmente immutato, e che ispira anche La regola del gioco. Il mondo sta cambiando, comunicare è sempre più difficile, qualcuno ne trae vantaggio e altri un po’ meno. Ora smettiamo di litigare e chiediamoci, semplicemente, come funziona.

Come ci ripetiamo io e te, questa rivoluzione non sembra toccare molto quelli che in Italia se ne lamentano ma intanto continuano a dire assolutamente tutto quello che vogliono dire: infatti al potere c’è Giorgia Meloni, non Vladimir Luxuria. Eppure questa rivoluzione dei codici è un fenomeno reale per chi lavora nel terziario avanzato, nella cultura, nei media, oppure in contatto con l’internazionale.

«Le nuove élite saranno arcobaleno», ho scritto qualche giorno fa su Domani. Ovviamente è meglio che siano arcobaleno che in camicia bruna, ma resta un problema: come facciamo a evitare che il capitale morale del ceto medio progressista diventi un nuovo fattore di esclusione per i meno skilled? A me questa cosa manda ai matti perché quando frequenti gli intellettuali ti accorgi che nel loro campo visivo, diciamo pure nel nostro, c’è un cono d’ombra che li rende ciechi al privilegio di “sapere le cose” e di essere “migliori”.

Ho scritto La regola del gioco per loro, cioè per noi. Sia te che io, in effetti, abbiamo perso molto tempo in questi anni a rispondere a chi alzava il ditino perché avevamo messo una parola fuori posto o addirittura ritenuto interessante riflettere sugli aspetti più problematici delle crociate fatte in nome della giustizia sociale. Volevano farci sentire indegni del consesso civile; ci hanno fatto sentire, al massimo, un po' provinciali, come delle piccole My Fair Lady. Quanta fatica ci saremmo risparmiati, se avessimo avuto un manuale! Et voilà, eccolo qua.

A un certo punto volevamo persino scrivere un libro insieme tu ed io, ricordi? Abbiamo anche fatto una scaletta dettagliata e scambiato innumerevoli idee. Poi ci siamo detti che volevamo affrontare la questione da angoli diversi. Alla fine mi sono detto che a nessuno interessava più – soprattutto dopo che il tuo libro**, caro Davide, ha messo un punto fermo sulla questione – l’ennesimo pamphlet pro o contro. Meglio prendere atto delle trasformazioni avvenute e tentare di spiegare come funziona la comunicazione in un’epoca in cui i codici culturali cambiano continuamente.

A quali principi aggrapparci? Nella Regola del gioco ho provato a elencarne alcuni: la consapevolezza che il linguaggio è pragmatico, cioè produce effetti reali, e i codici mutevoli; l'idea che in ogni momento dobbiamo scegliere tra proteggere la nostra reputazione e massimizzare la nostra visibilità; l'irriducibile politicità di praticamente tutto, dai cartoni animati al Rna, passando dai prodotti di bellezza e dall’acqua minerale. Soprattutto dobbiamo rassegnarci al fatto che ogni testo è sempre un pretesto perché altri prendano la parola. 

Bene così, un po’ di ricambio non farà male. Ma per sicurezza mettiamoci comunque casco e ginocchiere, non si sa mai. Io qualche botta l’ho già presa, e immagino che con l’uscita di questo libro ne prenderò ancora.

* «Gaslighting»? Per fortuna nel mio libro c’è anche un glossario di tutte le parole astruse spuntate fuori nell’ultimo decennio. In questo caso, cito, si tratta di una «manipolazione psicologica che spinge l’interlocutore a dubitare di sé stesso». Letteralmente quello che fanno gli intellettuali al resto della popolazione da quando esistono.

** Non riesco a crederci che hai linkato il tuo libro in un post che serviva a promuovere il mio.

Altre news dal fronte

  • Certo, Frantz Fanon scrisse che «la decolonizzazione è sempre un processo violento», ma ciò non significa che possiamo passare allegramente dal trovare intollerabile la «violenza» di un programma di corso universitario con troppi autori bianchi, al considerare tutto sommato ok quella vera, letterale, che uccide persone innocenti in Medio Oriente: dai, su;
  • Salman Rushdie, feroce reazionario favorevole alla libertà di espressione che ha firmato la lettera di Harper’s contro la cancel culture (sì, sono ironico) scriverà un libro sull’attentato che ha rischiato di costargli la vita, e noi non vediamo l’ora.

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