“It’s a-me, Woke Mario!”


Nel mare magnum dei dissidi culturali «esistono storie che non esistono», per citare le sempre profonde parole del maestro Maccio Capatonda. Da queste parti non l’abbiamo mai nascosto: buona parte dei casus belli su cui ci si scorna tra social e politica, se non direttamente inventati di sana pianta, sono grossolane o interessate esagerazioni di fenomeni tangenziali e non così rilevanti nel mondo reale.

E allora perché te ne occupi, scusa? Buonissima domanda! La risposta è – immagino – la stessa che daresti tu a una curiosità analoga sul perché leggi o commenti queste cose ormai ogni giorno: perché in un’era iper-mediatizzata in cui dominano caos informativo e scontri simbolici, i temi d’attrito delle guerre culturali possono assumere qualsiasi forma.

Perché il governo italiano dedica il suo tempo a parlare di «sostituzione etnica» (ecco, da una parte mi tocca ringraziare il ministro Lollobrigida, perché un intero capitolo de La correzione del mondo è dedicato alle parole d’ordine della destra xenofobo-complottista), o a scagliarsi contro la carne sintetica, oppure ancora a cercare di proibire gli anglicismi nella comunicazione pubblica? Perché i Repubblicani americani non discutono d’altro che di come boicottare la birra Bud Light? Perché il linguaggio dei social-dipendenti sbarca nel mainstream e le piattaforme direzionano i dibattiti? Perché il 2023 è anche questo, purtroppo: stamoce, come direbbero a Roma.

Tutta questa introduzione per dirti che all’inizio di questo mese è uscito il film di Super Mario, il più celebre e amato idraulico italo-americano di Brooklyn: si intitola con poca originalità Super Mario Bros. - Il film (o The Super Mario Bros. Movie) ed è stato un enorme successo di pubblico, dato che ha incassato 400 milioni di dollari in tutto il mondo a meno di una settimana dall’uscita nelle sale cinematografiche e riempito i cinema di ogni latitudine.

Sul pianeta Terra, insomma, tutto a posto. Not so much online, dove per mesi prima della première si è parlato di disastri annunciati al botteghino: sui social è stata criticata anzitutto la scelta di affidare la voce di Mario all’attore Chris Pratt, che non è italiano e quindi avrebbe potuto suonare offensivo (che devo dirti?). Dopo l’uscita del primo trailer, che ha reso chiaro che Pratt nel film non replica il consueto accento stereotipato del personaggio, i fan sono insorti per il motivo opposto: Super Mario ora suonava troppo banale e senz’anima.

Una polemica rinfocolata anche dal fatto che, nonostante Pratt sia un attore da blockbuster campioni di incassi (Avengers, Guardiani della Galassia, eccetera), da anni è criticato per una voce da lui sempre smentita, quella di aver frequentato la Hillsong Church, una chiesa pentecostale australiana accusata di promuovere “terapie di conversione” per gli omosessuali e altre oscenità retrograde.

L’inversione a U più pirotecnica sul tema film di Super Mario però, nemmeno a dirlo, viene dal fronte conservatore. Dopo il primo teaser del lungometraggio – che mostrava Luigi, e non la principessa Peach, nel ruolo del personaggio da salvare – il solito filotto di outlet e influencer di destra ha visto nella trama lievemente modificata la pistola fumante di una svolta woke della saga Nintendo: se Peach diventa un personaggio d’azione allora è chiaro che il film è ostaggio di «un’agenda femminista», dico bene?

E ti dirò di più: la Rainbow Road, la strada arcobaleno su cui i cartoon sfrecciavano nei titoli di Mario Kart, che compare nella pellicola, è stata additata da qualche fess... voglio dire da qualche acuto commentatore come una prova autoevidente della «propaganda Lgbt+» di cui il film sarebbe infarcito.

Poi sì, come si diceva The Super Mario Bros. Movie è diventato un successo planetario, e allora costoro hanno fatto ciò che fa qualunque persona adulta e matura non appena si accorge di aver sostenuto complete idiozie: finge di aver sempre sostenuto l’esatto opposto.

Diverse personalità anti-woke sono corse ad arruolare i dati del box office di Super Mario al loro fronte, a partire dal presentatore Steven Crowder, che ha spiegato al pubblico del suo seguito show perché tutto questo rappresenta un successo reazionario. In buona sostanza, riassumendo: l’eroe conquista la fanciulla, come nei Cari Vecchi Film Di Una Volta, quelli soppiantati dal politicamente corretto.  

Rimando a un pezzo sul tema di un sito specializzato in videogiochi, TheGamer, per un banale quanto apprezzabile invito a tornare alla realtà:

Crowder ha ragione, Mario conquista la tipa. Ma è anche uno scemotto. E Peach, dal canto suo, è una leader senza paura. Ma indossa anche un vestito, per la maggior parte del tempo. Nulla di questo film asseconda qualcuno in particolare [...], non viene trattata alcuna particolare ingiustizia, non c’è un messaggio politico distinguibile di cui parlare. È solo Mario, nient’altro.

Altre news dal fronte

  • Secondo l’editorialista del New York Times David French la libertà di espressione (quella propriamente detta, non la pantomima interessata che ne fanno alcuni) sta vivendo un momento di riscossa nei campus statunitensi;
  • Breaking news: la sinistra globalista vuole costringerci a mangiare insetti. O almeno, questo dice una nuova teoria complottista tra le più in voga nel campo ultraconservatore;
  • Ho iniziato a vedere l’ultimo video della seguitissima youtuber ContraPoints, dedicato a The Witch Trials of J.K. Rowling, il podcast che ha recentemente intervistato l’autrice di Harry Potter. Dura due ore e appunto, non l’ho ancora finito: se hai tempo te lo consiglio, lei è sempre brava, i video sono ben fatti e questo riassume in modo efficace le accuse mosse alla scrittrice e l’inconsistenza di fondo della sua ultima lunga testimonianza. Non sono però per niente d’accordo su uno degli assunti delle chiose di ContraPoints: l’epoca storica in cui viviamo non ha affatto problemi di imposizione di discussioni pacate e civili nel free marketplace of ideas. Questa è una fantasia, o tutt'al più un argomento fantoccio: nel mondo reale la società è davvero sempre più polarizzata, e i suoi membri sempre più divisi, perché a nessuno interessa discutere, tantomeno civilmente. Ovviamente c’è chi non vuole (ed è difficile persuadersi che JKR non sia fra questi ultimi), ma non è un buon motivo per sostenere che l’imbarbarimento del confronto a tutti i livelli, la violenza verbale e le minacce tutto sommato sono una cosa buona e progressista.

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