Impazziti per 15 minuti


«Nel futuro tutti saranno famosi per 15 minuti», ebbe a dire una volta un tizio che senza saperlo consegnò al mondo un’amara profezia dell’avvento di Twitter e Instagram. Ancor prima che famosi, tuttavia, in quel vagheggiato futuro col senno di poi siamo diventati tutti scemi, sorry Andy.

La citazione rimane valida, in ogni caso, perché quel quarto d’ora non smette di far parlare di sé: oggi è il quantitativo di tempo diventato il marchio distintivo di un concetto popolarizzato da uno studioso franco-colombiano, Carlos Moreno, e diffuso a ogni latitudine, che in inglese è stato ribattezzato 15-minute city, ovvero “città a 15 minuti”.

Riducendo all’osso, una 15-minute city è un centro urbano che si è assicurato che in ogni suo punto i servizi essenziali per il cittadino – tanto per elencarne alcuni scontati: ospedali, negozi, scuole – si trovino a distanza di una breve camminata o di un giro in bicicletta. I benefici di una città così costruita sono una ridotta dipendenza dall’uso dell’automobile, un minore inquinamento e un incremento sensibile della qualità della vita di chi ci abita.

Moreno è consigliere della sindaca di Parigi Anne Hidalgo, la quale ha basato la sua recente rielezione su questa proposta. E negli ultimi tempi il modello ha conquistato studi e dibattiti di settore, oltre ad alcune amministrazioni cittadine. La 15-minute city si struttura su una complessa serie di interventi non solo ambientali, ma anche connessi alle politiche dell’impiego (non funziona senza una robusta dose del cosiddetto smart working, per esempio), alle soluzioni abitative, nonché alle regolamentazioni dell’edilizia e del commercio: «Non si tratta di chiudere una strada su due per rendere la città green e semplificare il traffico», come ha notato lo stesso ricercatore, che insegna sistemi complessi alla Sorbona.

Eppure la sua idea innocua e benintenzionata – nonché nell’orbita delle discussioni urbanistiche anche da prima di lui, grazie all’assunto per cui evitarsi una vita intera di incolonnamenti in tangenziale potrebbe non essere così male – è diventata l’ennesimo terreno di scontro culturale, e la quintessenza di una teoria cospirazionista di estremo successo che ha scalato i ranghi della destra internazionale. Insomma, butta lì il complottista, siamo sicuri che questa storia dei 15 minuti non sia un sotterfugio del governo segreto mondiale per controllarci?

Non fare quella faccia: sta succedendo davvero. A Edmonton, in Canada, il dipartimento di sviluppo urbanistico ha dovuto chiarire che la sua idea di creare distretti “a 15 minuti” mirava soltanto a generare zone più percorribili a piedi, non distopie di controllo sociale come si leggeva online. Ma proprio sui beneamati social media il caso ha assunto proporzioni enormi, ed è stato incendiato da commenti come quello del sempre più sciroccato Jordan Peterson, secondo cui scegliere a tavolino tra quali zone della città ci si può spostare in macchina – soluzione che, incidentalmente, il modello della 15-minute city non prevede – sarebbe «parte di un piano liberticida ben documentato» (in un altro momento l’ha definito «una moda passeggera monopolizzata da wannabe dittatori»). Anche un folto gruppo di studenti universitari della città canadese, preoccupato da eventualità orwelliane che i proponenti del quarto d’ora urbanistico non hanno mai nemmeno lontanamente considerato, si è riunito per protestare contro la 15-minute city.

A Oxford, nel Regno Unito, l’anno scorso il consiglio comunale ha discusso e approvato una soluzione che indicava sei arterie trafficate del centro storico entro cui scoraggiare la guida a determinati orari di punta del giorno, con l’ausilio di telecamere di sorveglianza capaci di fotografare le targhe delle auto prive di permesso di transito. Oltre a questo, la città ha individuato alcuni quartieri a traffico limitato, delimitati dai classici “panettoni” che vi impediscono l’accesso.

Non l’avesse mai fatto: le due misure sono state così distorte e falsate dal frullatore impazzito della destra sui social – molti hanno iniziato a scrivere che i residenti sarebbero stati chiusi nelle loro case per oscuro volere dei burocrati cittadini, altri che tutto ciò avrebbe condotto a una schiavizzazione di massa – che alcuni operatori comunali sono rimasti vittime di abusi nella vita reale, a causa di ciò che l’amministrazione di Oxford ha definito la diffusione  di «informazioni inaccurate» sul programma. Proprio nell’Oxfordshire, durante una protesta partecipata da migliaia di persone contrarie alla temibile città a un quarto d’ora, è apparso uno striscione emblematico. Recitava:

Non vogliamo città a 15 minuti, non vogliamo vaccini, non vogliamo il 5G, non vogliamo telecamere.

È una frase che racchiude tutta la paranoia dell’estrema destra dei nostri tempi: un confuso coacervo di terrore dello spauracchio del controllo governativo, complottismi imprendibili e cumulativi, opposizione ideologica alle politiche sanitarie di era pandemica e dosi massicce di disinformazione. Il refrain torna in tante dichiarazioni di portavoce dei turbo-conservatori: sempre in UK Katy Hopkins ha accostato la 15-minute city ai lockdown anti-Covid, spergiurando che le autorità sono a tanto così dall’usare le moderne tecnologie di riconoscimento facciale per discriminare alcuni cittadini (ma, quel che è peggio, mi ha bruciato lo spunto per il titolo di questa edizione della newsletter, sostenendo – purtuttavia con incredibile sussiego, lei – che «qui nel Regno Unito avrete soltanto 15 minuti di libertà»).

La vicenda si ricollega a un altro cavallo di battaglia far right degli ultimi anni: quel Great Reset (o “Grande Reset”, in italiano) ispirato a un di per sé anzitutto soporifero video del World Economic Forum di Davos: la presentazione dell’omonima iniziativa voluta dall’organizzazione nel 2020, il cui primo fine è immaginare un sistema economico più equo e sostenibile dopo la pandemia. Ma quella formula, ripetuta e distorta all’infinito, è diventata la pistola fumante di ogni buon reazionario complottista (così tanto che Davos stessa ha dovuto fare ammenda dei suoi errori di pr, diciamo).

E quindi: le élite finanziarie globali stanno cercando di usare il Covid per cambiare in senso distopico la nostra vita e le nostre abitudini? La risposta dopo la pubblicità, tranne per chi ce l’ha già: il deputato dei Tory Nick Fletcher, ad esempio, il quale è certo che questa storia dei quartieri dove non sgasare al volante sia finalizzata a «portarti via le tue libertà personali», come ha dichiarato ai colleghi (spero sbigottiti) del Parlamento britannico.

Protesta a Oxford (Getty Images)

Potremmo continuare a citare fuori di testa per ore: il punto è anche che la grande battaglia contro il quarto d’ora urbanistico è solo l’ultimo e più evidente tassello di un più vasto scenario di resistenze a iniziative legislative di stampo ambientalista, che in Europa stanno incontrando fiere e organizzate opposizioni, specie quando toccano l’uso dell’automobile privata.

Certo, non tutto è bianco o nero, e anche i contestatori irretiti dalla disinformazione e dagli «al lupo» hanno a loro assai parziale giustificazione decenni di città abbandonate a loro stesse (anche in Europa, e anche in Italia), interi quartieri diventati parchi divertimento per arricchiti e aumenti verticali dei prezzi dei beni di consumo e dell’energia: se frequenti una comunità in cui ti dicono che la transizione verde è solo l’ultimo tassello di un piano malvagio finalizzato a impoverirti e abbandonarti, in assenza di strumenti interpretativi migliori va a finire che ci crederai davvero.

Ma no – meglio precisare ancora – nessuno vuole rinchiudere gli abitanti di Oxford in ghetti pattugliati da telecamere spietate in mano ai potenti del globo, né ci sono congiurati intenti a ricreare una «prigione staliniana», come hanno sostenuto alcuni manifestanti britannici: era proprio soltanto un tentativo di respirare meno tossine, scusateci tanto. Il resto l’ha fatto la gioiosa macchina da guerra reazionaria dei nostri tempi, adattando la trama cospirazionista internazionale a ogni situazione specifica, da Londra all’Australia.

Per citare lo stesso Carlos Moreno in un’intervista che ha rilasciato a Politico, questa storia è l’emblema dei «livelli di follia che abbiamo raggiunto in questo mondo». E chi sono io per dare torto a un eminente urbanista?

Altre news dal fronte

  • Le citazioni di questo tweet ti spalancheranno le porte del bel mondo in cui sputare addosso a un giornalista a caso del New York Times è cosa buona e giusta, purché ammantata di – uhm – “attivismo”;
  • Oh no, Elon Musk vuole costruire un suo ChatGPT «anti woke»: sono arrivate le culture wars dell’intelligenza artificiale, alzi la mano chi ne avrebbe fatto volentieri a meno;
  • In questi giorni sono girati vecchi tweet di Elly Schlein, la nuova segretaria del Partito democratico, come questo qui sopra. Al netto del lol – per fortuna largamente maggioritario – qualcuno ci ha ricamato sopra chiose lunari, con la prosopopea e la sicumera di chi sta prendendo in castagna il resto del mondo. Riassumendo: ah, meno male che ora ridete! Prima suonavate l’allarme per gli archivi di Twitter usati per rovinare le persone! Testina, fatti dire una cosa: i tweet di Schlein nel peggiore dei casi le faranno perdere la stima e il voto di qualche fan esagitato di Marco Travaglio; per il resto sono contenuti ironici e perfettamente meme-friendly di una politica di rilievo nazionale appena eletta, che tutti – dico tutti – coloro che non sono Vittorio Feltri hanno commentato in questa chiave, e che quindi non hanno niente da spartire con casi antitetici di poveri diavoli random finiti nel tritacarne dei social media per un nonnulla decontestualizzato o malinteso. L’equazione funziona solo se la tua priorità è sostenere strumentalmente una Verità predeterminata, ecco.

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