Lettori sensibili


Non so se hai sentito [irony mode: on] ma l’editore britannico dei libri di Roald Dahl, Puffin Books, ha approvato centinaia di interventi di modifica alle opere dell’autore per bambini, d’accordo con gli eredi di Dahl; modifiche che in teoria – ha comunicato la casa editrice – «possano consentire» ai romanzi «di essere ancora apprezzati da tutti oggi».

Dico «in teoria», perché la pratica è un po’ diversa: gli zelanti censori, l’avrai letto, non hanno soltanto fatto sparire termini ed espressioni problematici (direbbero quelli bravi) come «ciccione» e «brutta e bestiale» (ne Gli sporcelli), ma si sono spinti fino ad alterare interi passi dei libri. Per esempio ne Le streghe, che orbita attorno a un bambino tramutato in topo da una congrega di maghe, prima si leggeva (edizione Salani, trad. it. Francesca Lazzarato e Lorenza Manzi):

Le streghe sono tutte donne. Non voglio parlar male delle donne. In genere sono adorabili. Ma tutte le streghe sono donne: è un fatto.

Ora il passo contiene solo la prima frase. E quando il bambino dice alla nonna che allora tirerà i capelli a ogni donna per essere sicuro che non sia una strega, lei nella versione originale rispondeva: «Non dire stupidaggini. Non puoi tirare i capelli a tutte le donne che incontri, anche se portano i guanti. Provaci e vedrai». Ora invece la risposta è diventata, traducendo dall’inglese:

Non dire stupidaggini. E poi ci sono tanti motivi per cui una donna può indossare una parrucca, senza che ci sia nulla di sbagliato.

E così via: la riedizione ha addirittura silurato diverse occorrenze di «bianco» e «nero», anche quando utilizzati per descrivere un oggetto comune, come un indumento.

Altre fondamentali modifiche.

Ritornando a utilizzare un’espressione che cerco di evitare da parecchio tempo, nello specifico non penso che questo caso – che comunque è rilevante e merita la nostra attenzione – possa rientrare nel novero di una cancel culture propriamente detta: nessuno ha chiesto in coro a Puffin Books di emendare i testi di Roald Dahl; anzi, è probabile che nessuno si sia mai posto il problema prima.

Ben più verosimile è che la Roald Dahl Story Company, che dal 2021 è di proprietà di Netflix, abbia voluto apporre una mostrina sul suo petto, per ricerca di clout o per banale conformismo, sfruttando uno spirito del tempo che ha fatto dell’«inclusività» un totem confuso, malinteso e in perenne aggiornamento.

Se una cosa così misera è successa – un fatto che pochi hanno avuto l’ardire di difendere; e questi ultimi beh, tenderei a darli per persi – è perché in quest’epoca esiste non solo una cultura dove tutto ciò è possibile, ma anche un capitalismo di farabutti che ci va a nozze e la commercializza. Il risultato è la produzione in vitro di un mondo incorruttibile perché di plastica, dove tutto è pulito, finto e mondato dai riferimenti cattivi. Con tanti saluti ai chiaroscuri e alle suggestioni che fanno parte della complessità di una persona.

Ma è interessante anche parlare dei sensitivity readers, cioè le persone che materialmente hanno messo le mutande del Braghettone agli affreschi favolistici di Roald Dahl: sono una figura professionale relativamente nuova, ma che all’estero fa parlare di sé già da anni, specie nell’ambito della letteratura per l’infanzia.

Un sentivity reader è un editor ulteriore che non fa parte della redazione della casa editrice, il cui compito è leggere un manoscritto (o un libro di cui l’editore detiene i diritti) a caccia di eventuali contenuti offensivi, rappresentazioni errate, stereotipi etnici o culturali e pregiudizi di vario tipo.

In Italia, che io sappia, non è una carriera percorribile. Ma all’estero ha già fatto parlare molto di sé. Nel 2020 Il sale della terra, romanzo dell’autrice Jeanine Cummins considerato il caso editoriale dell’anno, è diventato protagonista di un enorme caso letterario centrato sull’accusa mossa a Cummins di essersi appropriata, in quanto donna bianca, di una storia non sua: quella di una madre e una figlia costrette a mettersi in viaggio verso la frontiera degli Stati Uniti. Se l’opera fosse passata attraverso il controllo di un lettore non-bianco, secondo i critici, sarebbe uscita senza rappresentazioni stereotipate.

La figura è anche molto criticata: lo scrittore irlandese John Boyne ha commentato che «nessuno scrittore serio permetterebbe che il suo lavoro venga sanificato», mentre la collega poetessa scozzese Kate Clanchy ha dichiarato che un sensitivity reader voleva farle «contaminare i suoi ricordi», e ha deciso di rescindere il suo contratto di pubblicazione con l’editore. Per Lionel Shriver, a causa del suo impiego buona parte degli autori «eviterà del tutto lo scrivere di personaggi con background diversi dal proprio». Hillary Jordan, autrice di Fiori nel fango (Neri Pozza, da cui è stato tratto il film Mudbound), ha speso parole di elogio per la nuova e più sviluppata sensibilità di quest’epoca, ma con un ammonimento:

Viene dalla curiosità su come vivono le altre persone; nasce dal desiderio di abbattere le barriere che ci separano. E non so proprio come si possa fare, se hai qualcuno che ti guarda alle spalle e tossisce leggermente per farti sapere quando sei fuori strada.

Kate Milford, autrice fantasy per un pubblico adolescente, sostiene invece che considera questa al pari delle altre figure professionali con cui collabora: «È un’estensione della stessa ricerca che farei per ogni libro». E non è l’unica.

Per quanto mi riguarda, penso che il problema risieda sempre nel dove posizionare l’asticella dell’offesa, o della rappresentazione errata: saremo tutti d’accordo che avere una figura specializzata in storia coloniale africana che dà una lettura in più al nostro libro ambientato nell’Africa coloniale, beh, è tutt’altro che una tragedia.

Più complesso è definire cosa offende una data minoranza, soprattutto dal momento che il sensitivity reader, in sé, per quanto sensibile e accorto possa essere, alla fine della fiera parla per sé: i messicani, le persone transgender, gli indiani, le ragazze madri non sono tutti uguali, e al di là di un minimo comune denominatore di condizione condivisa è difficile pensare di poterli raggruppare in un insieme omogeneo.

Di universale, per ora, ci è rimasta la letteratura. Facciamo in modo che rimanga tale, che dici?

Altre news dal fronte

  • Va bene, qui c’è Jordan Peterson che vede «tirannia» in un adesivo gentile che chiede di non sprecare carta nei bagni pubblici: vedi tu;
  • L’editoriale meno satirico del sito satirico The Onion, che de facto accusa apertamente il New York Times di transfobia per la sua copertura del dibattito sulla transizione nei minorenni. Non è l’unico ad averlo fatto: c’è anche una lettera aperta di centinaia di collaboratori della testata. Mi starò perdendo qualcosa (nel qual caso, i commenti sono aperti!), ma le inchieste del Times le ho lette, di discriminazione documentabile sulla pelle delle persone transgender non ne ho vista, e vorrei che uscissimo tutti a toccare l’erba;
  • Nemmeno i Repubblicani sanno bene che vuol dire woke, nonostante sia la singola parola che hanno pronunciato più di frequente negli ultimi anni.

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