Cancellati in nome del free speech


Negli ultimi giorni il commento politico internazionale ha infranto un nuovo record di tribalizzazione polarizzata: Tyler Robinson, il 22enne che ha ucciso Charlie Kirk, era di sinistra? Di destra? Ha inciso sui bossoli delle sue pallottole frasi afferenti all’«ideologia transgender», qualunque cosa ciò significhi? (No, era un fraintendimento dovuto alla marca del bossolo); ha usato citazioni da Bella ciao? (Sì, ma era un riferimento a un videogioco).

Robinson è cresciuto in una famiglia di mormoni conservatori, il padre era uno sceriffo, è stato esposto alle armi da fuoco fin da bambino, secondo alcuni report frequentava ambienti online di un certo tipo, insomma: sono cose ormai note. Nelle ultime ore pressoché chiunque è diventato un esperto dell’oscura sotto-sottocultura di estrema destra online dei Groyper, di cui fino a ieri pensavo di essere uno fra i pochi a conoscere l’esistenza. Ma meglio così.

E mentre le indagini proseguono – e scoprono che in effetti il movente potrebbe avere a che fare con le posizioni anti-trans di Kirk, come sosteneva la prima ipotesi sbugiardata dei bossoli: sarebbe una bella lezione per chi, come il sottoscritto, ha parlato troppo presto – l’opinione pubblica continua a erigere barricate oltre cui rimpallarsi ogni responsabilità politica e morale dell’accaduto, rivelando che l’importante, ancora una volta, è anzitutto segnare punti in una guerra mimetica.

Tra le reazioni scomposte generate dall’assassinio si scorge un sottogenere particolarmente caro – per così dire – a questa newsletter: quello delle purghe e delle limitazioni del diritto alla libertà di espressione (non immaginati ma fattuali, si intende).

Almeno in teoria, Charlie Kirk era il rappresentante di spicco di un fronte che si oppone duramente alla pratica di far licenziare chi ha idee difformi, o di isolare socialmente i titolari di opinioni sgradite, giusto? Io l’avevo capita così, almeno. Eppure, dopo la brutale uccisione di Kirk, moltissimi esponenti della sua parte politica... sembrano essere ricorsi esattamente ai modus operandi che hanno sempre denunciato come derive del fronte avversario.

Poche ore dopo la sparatoria il deputato Repubblicano Clay Higgins, della Louisiana, ha dichiarato che avrebbe utilizzato «i poteri del Congresso» per far bandire a vita dalle piattaforme social chiunque avesse «sminuito l’assassinio di Charlie Kirk»; la Clemson University, in South Carolina, ha sospeso almeno un dipendente che aveva fatto commenti disdicevoli sull’accaduto; specialisti legali hanno invitato a segnalare chi aveva celebrato la morte di Kirk al rispettivo datore di lavoro, per chiederne il licenziamento; influencer conservatori si sono vantati di aver fatto una miriade di telefonate con lo stesso fine; un militare della Virginia è stato brandito come esempio anti-patriottico per aver semplicemente citato frasi di Kirk, senza commento; qualcuno, in preda a delirio delatorio, ha additato un ristorante perché la moglie del suo proprietario non era in lutto.

Non bastasse, è rapidamente nato una database sistematizzato, inizialmente chiamato “Expose Charlie’s Murderers” («esponi gli assassini di Charlie», ora ribattezzato senza fare un plissé “Charlie Kirk Data Foundation”) con un profilo X da più di 100mila follower e la missione dichiarata di «screenshottare le prove di tutti coloro che festeggiano l'omicidio di Charlie Kirk» (spesso, in realtà, più che «festeggiare» criticano le posizioni della vittima).

Ora, magari sono io, ma mi ricordo che queste, una volta (leggi: fino all’altro ieri), erano le cosacce che facevano gli estremisti di sinistra, i predoni da tastiera, i perfidi paladini della cancel culture progressista: così hanno sostenuto per anni, uniti in una sola voce, i capibastone del mondo MAGA.

E così, paradossalmente, sostengono tuttora: gli Stati Uniti hanno un problema di limitazione della libertà di espressione, Charlie Kirk ha provato a risolverlo... ed è per questo che ti impediremo di parlarne male. Non fa una grinza sul piano logico-argomentativo, no?

Da una parte la destra americana sostiene che Kirk è rimasto indigesto a molti perché faceva discorsi scomodi, ma facendo discorsi scomodi sul suo conto finirai su un sito web col suo nome che ti accusa di essere il mandante del suo assassinio. Il trionfo del doppio standard, e soprattutto della compartimentazione della realtà, verrebbe da dire.

Per inciso, non credo che chi ha giubilato, con più o meno ironia, per l’omicidio di Kirk sia un esempio da seguire: come ha scritto il sempre ottimo Ben Burgis su Jacobin, un eventuale sdoganamento ulteriore della violenza sociale, al netto di ogni altra considerazione, sarebbe una notizia terribile per la sinistra (che, se ha mezzi per vincere la bagarre politica, li ha certamente su altri piani).

Ma non si può pretendere che la morte di un personaggio pubblico, per quanto giovane e in salute, sia salutata da tutti allo stesso modo. Finché ci saranno piattaforme dove chiunque può esprimersi liberamente e affidare le sue idee al resto del mondo, aspettiamoci che alcuni messaggi post-dipartita mancheranno di umana empatia, e altri saranno più e meno indegni. È del tutto normale.

Quel che rimane più grave è che un gruppo politico-sociale al governo di un Paese che ha fondato la sua riscossa sulla bandiera del free speech oggi sia in prima linea per limitarlo, ponendo distinguo e specificando eccezioni per cui la delazione, il deplatforming e persino il licenziamento, magicamente, diventano soluzioni accettabili, anzi appetibili.

Di questo inganno alla base dei discorsi alla cancel culture provo a scrivere da qualche anno, ma devo dire che la realtà si dimostra sempre più eloquente di qualsiasi analisi e tentata razionalizzazione.

Nel rispetto che si deve alla vita umana va detto, come ha scritto il collega Stefano Piri in un bel post su Facebook, che Charlie Kirk non era un vate del dialogo e della persuasione da dibattito alla pari, bensì «un professionista della manipolazione e dell’intimidazione»: se ricordarlo dopo la sua scomparsa viene equiparato a un’opinione da cancellare, significa che della salvaguardia delle opinioni sgradite ai suoi adepti e sodali, in fin dei conti, non era mai interessato nulla.

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