Le forze della maggioranza in parlamento hanno ratificato un emendamento al disegno di legge sul «consenso informato a scuola»: la norma, presentata dalla leghista Giorgia Latini, estende alle scuole medie il divieto di ogni forma di educazione sessuale e affettiva per gli studenti, già esclusa nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria.
Gli estensori dell’emendamento – la destra di governo – hanno parlato della necessità legislativa di «estendere il divieto ad attivisti ideologizzati ed esperti esterni di poter parlare di tematiche sessuali ai ragazzini delle medie», mentre ProVita, celebrando la svolta, gli ha fatto eco spiegando che così si «impedisce che i bambini siano indottrinati dalle associazioni abortiste o dagli attivisti Lgbt».
Nella più verosimile pratica, in realtà, questo disegno di legge renderà impossibile per adolescenti e pre-adolescenti accedere alle loro prime informazioni sull’affettività nelle relazioni, sulle malattie sessualmente trasmissibili e sul contrasto alla violenza sessuale: come notato da molti, nel giorno della barbara uccisione a Milano dell’ennesima donna vittima di barbarie di stampo patriarcale e sessista, Pamela Genini, il governo ha prodotto un orrore anche simbolico.
Invece di permettergli di apprendere modelli di comportamento e di affettività da professionisti della salute pubblica, le forze politiche che si dicono più attente alla salvaguardia dei giovanissimi li lasciano alla deriva nel mare magnum dei social media, in balia di influencer di idee incel e polarizzazioni di genere che distorcono l’immaginario sociale delle relazioni.
Un’involuzione doppiamente disarmante, dato che quando alle medie ci andava la mia generazione, nei primi anni Duemila, l’educazione sessuale – come si chiamava allora – non era un problema per nessuno (e io ho fatto le medie in un istituto che, seppure pubblico, condivideva i suoi spazi con una scuola cattolica, tanto per dire).
Devo ancora trovare una persona mia coetanea che mi dica che, anche nei luoghi più provinciali, bigotti e impervi d’Italia, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio l’educazione sessuale risultasse qualcosa di controverso.
E allora perché lo è diventato? Insomma, chi ha avuto – e ha ancora, beninteso – interesse a “creare il caso” sull’educazione sessuo-affettiva, e perché? Da dove viene questo mito oscuro degli «attivisti ideologizzati» che indottrinano i bambini?
Detta in modo semplice, dalle guerre culturali del mondo anglofono. Avete presente quell’insieme di conflitti simbolici che non ci riguardano, perché appartengono a realtà diverse dalla nostra, chi se ne occupa è convinto di vivere a New York, e comunque non hanno chissà quali effetti sulla realtà (meno che mai quelli di spingere un candidato alla Casa Bianca, figuriamoci)? Ecco, quelle.
La destra internazionale bombarda con costanza sulle insidie dell’educazione sessuale a scuola da decenni, strutturando un panico morale (ecco una rara volta in cui questa espressione, spesso utilizzata a casaccio, ha un’applicazione) che ha effetti a cascata sulle strategie e i prontuari comunicativi dei reazionari di ogni latitudine.
Negli Stati Uniti questo spauracchio ha trovato il suo punto di caduta nei corsi che si occupano, oltre che di educazione affettiva, di identità di genere e orientamento sessuale: dietro la bandiera dei parental rights – cioè la possibilità dei genitori di scegliere ciò che i figli imparano su questi argomenti: nient’altro che il «consenso informato» che il governo Meloni ha reso legge anche in Italia alle superiori – la destra americana di Trump ha messo in piedi un’offensiva legale fatta di boicottaggi, leggi liberticide e attivismo ibrido di “genitori preoccupati”; una macchina da guerra che l’anno scorso era già costata più di tre miliardi di dollari in spese legali alle scuole d’oltreoceano.
Lo scorso giugno la Corte Suprema ha dato ragione a un gruppo di madri e padri di fede cattolica e musulmana che avevano denunciato l’istituto scolastico dei figli, chiedendo che i corsi con riferimenti a persone Lgbt+ diventassero facoltativi. L’anno scorso in Wisconsin, uno fra i tanti teatri di questi scontri, l’assemblea statale ha approvato una legge che permette ai genitori di impedire ai figli di frequentare qualsiasi lezione su «temi controversi» come l’orientamento sessuale.
In Gran Bretagna nel 2023 diversi politici conservatori si sono detti preoccupati dal fatto che i giovani inglesi fossero esposti a materiale «esplicito» (comprensivo di «lezioni sul sesso orale», si è detto), e l’allora primo ministro Tory Rishi Sunak ha chiesto al ministero dell’Istruzione di avviare un’indagine interna per accertare che le scuole non stessero «insegnando contenuti inappropriati o contestati».
In Francia, l’attivismo online della destra ed estrema destra transalpine nel 2024 ha preso ferocemente di mira amministratori scolastici ed educatori coinvolti in corsi e incontri di educazione affettiva nelle scuole medie inferiori, facendo passare per molestatori i partecipanti a discussioni su temi come la «vita emotiva e le relazioni tra ragazze e ragazzi».
E anche in Spagna, fin dal periodo della pandemia il partito di estrema destra Vox ricorre abitualmente a fake news conclamate – come quella dei «bambini di età inferiore ai sei anni a cui vengono insegnati giochi erotici» – per instillare nel pubblico il timore di forze occulte che vogliono fare il lavaggio del cervello alle fasce sociali più indifese.
L’obiettivo, a qualsiasi latitudine e in qualsiasi lingua, è lo stesso: cementare il proprio consenso tra famiglie sempre più disorientate e preoccupate, che si sentono abbandonate alla mercé di un dibattito pubblico inesistente o riplasmato dal caos delle piattaforme digitali, dove vince chi urla più forte la frase di maggior effetto.
Ancora una volta, le guerre culturali si rivelano dispositivi perfetti per inquinare i pozzi della realtà politica e sociale contemporanea: basta avere una storia che funziona, sostenerla contro qualunque dato di realtà facendo fronte unito, e aspettare che queste «verità alternative» si sedimentino nell’opinione pubblica. Et voilà, il gioco è fatto: Bibbiano è diventato una scuola di strategia politica, la sinistra sta indottrinando i bambini, ma per fortuna ci siamo noi.
È soltanto storytelling, si sarebbe detto qualche anno fa: ma purtroppo è uno storytelling che in questa architettura comunicativa – che per tanti, troppi pare ancora andar sostanzialmente bene com’è: non saremo mica neoluddisti, suvvia? – funziona fin troppo bene. Col risultato che domani, dopodomani e fra dieci anni tanti giovani e meno giovani si rapporteranno con i loro partner senza strumenti che gli sono stati tolti, in fin dei conti, da un’efficace storiella.
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