Harry Potter e la camera dei flame

Quando abbiamo smesso di capire il mondo? È il titolo di un bel libro dello scrittore cileno Benjamín Labatut edito da Adelphi, perfetto per parlare del presente: in nessun altro periodo della storia recente ci siamo trovati di fronte un sistema di segni, codici e sensibilità sociali così messo in crisi, polarizzato e ostaggio di scontri sempre più arcani e irrisolvibili.

Io sono Davide Piacenza, e Culture Wars ogni venerdì parla di casi in cui queste dinamiche agiscono e riplasmano il mondo, in Italia e all’estero. Non usa espressioni-richiamo come «dittatura del politicamente corretto» o, quando possibile, «cancel culture», né qualsiasi cosa banalizzi un discorso importante e che bisogna fare insieme.

Questa è la terza puntata, la prima che arriva nella casella email di poco meno di 600 persone: grazie del sostegno prezioso. Oggi, una riflessione che parte dal personale. E scusa il pippone.


Come siamo diventati tutti Voldemort

Devo farti una confessione: quando si parla di questi anni come quelli della riscossa degli snowflake, cioè – con un termine dispregiativo – le persone esageratamente sensibili, o si immagina un’«era della suscettibilità», io mi sento a disagio. E mi sento a disagio non solo – o non tanto – perché mi sembra una riduzione semplicistica e in definitiva sbagliata di fenomeni più ampi e complessi, ma anche per una sorta di conflitto di interessi: io stesso sono sempre stato definito dagli altri una persona estremamente sensibile. E per anni, facendola breve, mi sono chiesto se ci fosse qualcosa che non andava in me, o perché anche le cose considerate più banali mi risultavano così difficili da metabolizzare, o se era così per tutti.

Poi sono cresciuto, ho visto un po’ il mondo, ho conosciuto altre persone in altri luoghi, ho scoperto che altri avevano la mia stessa prospettiva, ho imparato a lasciar correre, a ridimensionare, a comprendere.

E perché proprio tu non sei al 100% allineato coi più accesi fra i militanti della rivoluzione sensibile?, sento spesso chiedere alla proverbiale vocina del subconscio, più surcigliosa del solito. Le rispondo così: apprezzo, vocina, che il mondo faccia più attenzione a chi non rientra in canoni un tempo immutabili, a quelli che non rispondono a determinati criteri sociali, a categorie di persone storicamente bistrattate. È un cambiamento giusto e cruciale. Ma dato che la mia sensibilità è omnidirezionale, sono sensibile anche al come lo si persegue.

Il contesto culturale che fa da sfondo e carburante a questo shift di codici svela i modi di pensare e di intendere la realtà di chi li padroneggia. Prendiamo un caso che forse ormai è il classico caso-a-sé, ma di stringente attualità e utile, in un certo senso, a capire il mio discorso: J. K. Rowling, famosissima autrice della saga di Harry Potter, è stata accusata negli ultimi anni di essere una terf (acronimo di trans-exclusionary radical feminist, cioè femminista radicale trans-escludente) per diverse sue prese di posizione contro le persone trans. L‘ultima risale a pochi giorni fa.

L’autrice, che in passato si era apertamente schierata in senso progressista su diversi temi, dalla Brexit a Trump, ha risposto a un report secondo cui la polizia scozzese starebbe registrando l’identità di genere – e non il sesso biologico – degli accusati di stupro, anche in assenza di documenti che certificano la transizione, ridando linfa a una teoria (peraltro smentita da alcuni studi disponibili) che vorrebbe le donne cosiddette cisgender – cioè le nate con genitali femminili – a rischio di incolumità per il dover condividere i loro servizi igienici con le donne trans.

È l’ultimo atto di una polemica che si è fatta violenta e sterile, ormai da tempo avvitata su se stessa, fatta di episodi orribili (come l’indirizzo di casa della scrittrice postato sui social da sedicenti attivisti) e una buona dose di approssimazione da parte di una celebrità con una cassa di risonanza di milioni di follower (sul tema si può leggere il commento critico e misurato di una donna trans, la giornalista olandese di De Correspondent Valentijn De Hingh, che ne aveva scritto nel 2020).

Penso che chi ritiene le opinioni di J. K. Rowling ingiuste nei confronti delle persone trans abbia le sue ragioni: perché sono dichiaratamente parziali, perché sono quasi sempre prive di riferimenti e dati, perché quando sono portate agli estremi sembrano negare una prospettiva “autopercettiva” che è propria di ogni persona. E penso che sia giusto criticarle, anche duramente, trattandosi di diritti civili.

Non penso, però, che sia accettabile – o che faccia granché bene a qualcuno, se è per questo – ragionare sempre e costantemente per estremi, in rigide divisioni per squadre, scomunicando senza discutere, mettendo alla gogna per farsi portavoce, delegando discorsi infinitamente complessi alla dopamina pressapochista dei like.

È più che legittimo decidere che il femminismo di J. K. Rowling sia dannoso e contestarlo, ma si può fare senza arruolare tra i peggiori reazionari e i mandanti di violenze tutti quelli che le hanno prese per buone o ragionevoli, magari semplicemente perché hanno dubbi sinceri sulla questione che affrontano, che non riguarda soltanto la sacrosanta libertà delle persone di vivere senza discriminazioni, ma anche il complesso rapporto tra l’identità e alcuni pilastri dei sistemi sociali e legislativi vigenti. Non posso credere che chiunque scriva «biological sex is real» neghi il sacrosanto diritto all’autoidentificazione e al vivere la propria vita in pace. Dove finisce la transfobia di un caudillo di estrema destra che ha visto nelle esternazioni della scrittrice scozzese un cavallo su cui puntare, inizia la legittima preoccupazione di donne che con l’estrema destra non hanno nulla da cui spartire. O quella di atlete in competizioni sportive in cui l’inclusione pone nuovi e pressanti interrogativi.

Quel che voglio dire è che non tutti conoscono il mondo nel nostro stesso modo; non tutti hanno la nostra e le nostre sensibilità. Qualcuno può essere accompagnato a evolvere il suo sentire. Qualcun altro deve essere convinto. E non sempre chi obietta è una persona squallida o intollerante.

E questo perché, riducendo all’essenziale, la realtà è un posto complicato e le persone sono prismi che è ingiusto – oltre che controproducente – ridurre a una singola opinione, a un like, a un approfondimento mancato. È il nucleo di ciò che ha sostenuto in un famoso discorso uno che tanto anti-inclusivo non è: l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Nel 2019 Obama ha parlato della tendenza sempre più diffusa sui social media a considerare il cambiamento come un prodotto diretto del «giudicare il più possibile gli altri»:

Non è attivismo. Non è generare cambiamento. Se tutto ciò che stai facendo è lanciare pietre, probabilmente non arriverai così lontano. Perché quello è fin troppo facile.

Non mi riferisco a Rowling in sé, quanto allo tsunami di flame e sotto-flame che la sua militanza “Terf” ha generato in questi anni: si può pensare che l’autrice sia una reazionaria senza buttare a mare i suoi libri, ad esempio (come molti stanno facendo, e qualcuno addirittura leggendo retrospettivamente fra le righe di Harry Potter il simbolismo di un sistema di discriminazione di orientamento liberale).

I compartimenti stagni, nella misura in cui colonizzano e indirizzano ogni dibattito online, fanno soltanto la fortuna di quei tre o quattro – già ricchissimi – Ceo della Silicon Valley, che sugli engagement della rabbia e dei fronti contrapposti hanno costruito i loro imperi digitali. Per tutti gli altri, per tutti noi, alla fine rimarrà sempre soltanto un senso di spaesamento e frustrazione, unito a un orgoglioso rifiuto di ammettere qualsiasi umanità condivisa con transfobi e terf, o chiunque si trovi al di là delle nostre personali barricate. Eppure quell’umanità c’è e ci sarà sempre, ed è da quella che dovremmo partire per risolvere tanto la transfobia quanto la frustrazione latente.

Al di là del caso Rowling (che meriterebbe altri paragrafi che qui non possiamo dedicargli), la mia impressione è che intere generazioni di giovani e meno giovani stiano gradualmente ma inevitabilmente disimparando a fare distinguo e apprezzare le gradazioni di colore, incarnando e confermando quei pur bellissimi versi di T. S. Eliot:

Essi cercano sempre di evadere/ dal buio esteriore e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono.

La fine? Macché, ancora pippone

Lo screenshot del tweet qua sopra ne è una rappresentazione aneddotica, ma plastica: in un ecosistema comunicativo in cui conta solo il face value immediato non c'è più spazio per un’esposizione “sana” a punti di vista e visioni del mondo differenti; il contraddittorio è sempre e solo una quinta colonna di forze oscure e squadre avversarie; il dubbio vero non è concesso; e persino le opere artistiche talvolta passano attraverso la lente dell’obbligo morale di mandare messaggi precisi e immacolati, senza sfumature. Con noi o contro di noi.

Eppure – ed è su questo che mi trovo d’accordo con alcuni critici della “new age sensibile” – ad averci formato e reso esseri umani più o meno consapevoli e funzionanti sono stati anche gli esempi negativi, mitigati ed esorcizzati, rappresentati e disinnescati nelle loro singole componenti istruttive. I tormenti di Philip Roth, le cattiverie catartiche di Barney Panofsky, l’orrore delirante di Psycho, per dire le prime cose che mi vengono in mente. La ricchezza dell’essere umani pensanti è poter andare oltre la superficie dell’esperienza individuale, astrarla, imparare dagli errori, capire e a volte accettare chi li commette, che si tratti di un parente stretto o di un totale sconosciuto, trovare quella fiammella universale che è uguale in ogni persona.

Nessuno qui sostiene una necessità di perpetuare sistemi oppressivi, discriminazioni sistemiche, linguaggi irrispettosi, o tantomeno quella di venire esposti a tweet transfobici, tutt’altro; c’è però un’assoluta importanza di non vivere in camere dell’eco in cui esistono soltanto due posizioni degli interruttori: “completamente ragione/condivisibile” e “completamente torto/censurabile”. È un gioco incoraggiato by design dalle piattaforme social, per cui la divisione a squadre armate in cerca di reciproco annientamento si traduce in immensi ricavi pubblicitari, ma è un gioco crudele e culturalmente deleterio. Significa non provare nemmeno più a dipanare qualche filo dell’ingarbugliatissima matassa della condizione umana, su cui anche il passato più sbagliato e piagato da disuguaglianze e orrori ha prodotto riflessioni meritevoli di studio e portatrici di nuove prospettive.

Vivere non una, ma tutte le proprie posizioni come totem immutabili che separano il legittimo dal pericoloso significa non tollerare altro da sé che non rappresenti una minaccia immediata: il che, se ci pensate un attimo, è l’anticamera dei peggiori pensieri della storia.

Tanto più che, per quanto mi riguarda, tutto questo non ha nulla a che fare con la sensibilità: anzi, è proprio il suo contrario.

Altre news dal fronte

  • Mentre abbiamo smesso di leggerne in giro, la vita delle donne in Afghanistan è peggiorata sensibilmente: «Prima dell'arrivo dei talebani le radio trasmettevano anche musica e programmi dedicati alle ragazze e alle donne: ma adesso non possono più farlo. Alcune donne erano anche alla guida di testate ma adesso sono costrette a casa, senza un salario», ha detto il giornalista afghano Mohamed Andalib Ismail a Radio 24;
  • Verónica Forqué, famosa attrice spagnola (era comparsa in diversi film di Almodovar), si è tolta la vita il 13 dicembre. La sua morte ha scosso l’opinione pubblica, anche perché di recente la sua auto-esclusione da Masterchef Spagna aveva acceso un importante dibattito sulla salute mentale;
  • L’attrice comica Sarah Silverman su Twitter ha chiesto alla popolare giornalista di Msnbc Joy Reid di andarci piano con gli appellativi come «fascista», quando sono un po' buttati là. Reid però è nera, e da molti Silverman è stata accusata di razzismo, pur essendo una personalità dichiaratamente di sinistra: «Non riesco a credere di doverlo dire, ma non l’ho criticata perché è nera», ha detto poi la comica nel suo podcast;
  • È morta bell hooks, importantissima autrice femminista americana, di cui fareste bene a leggere qualche saggio non soltanto per il suo valore, ma anche per l’influenza che ha avuto sull’attivismo contemporaneo.

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