Un attivismo che divora i suoi figli

Ciao, qui Davide Piacenza, autore di Culture Wars, la newsletter del venerdì su fatti, storie e conversazioni difficili a tema, uhm, “politicamente corretto” a cui ti sei abbonato/a.

Ottima scelta. Procediamo.


La grassofobia del portavoce

Quella che segue è una storia complicata, ma di quelle che aiutano a capire lo scenario in cui si innestano ed evolvono su una parte delle barricate le cosiddette guerre culturali. Cerca di seguirmi, io cercherò di essere chiaro.

Lindo Bacon è un nutrizionista non binario e transgender americano, nonché un «sostenitore intersezionale della body positivity e della body liberation», come recita la sua bio. Il suo libro più famoso e citato risale al 2008 e si intitola Health at Every Size, «la salute a ogni taglia», lo stesso nome di una teoria a metà tra la medicina e le scienze sociali che ha fatto la sua prima apparizione negli anni Sessanta: entrambe mettono in discussione l’approccio dietistico e nutrizionistico standard proposto alle persone sovrappeso, e postulano che il vero problema è lo stigma della nostra società verso i grassi, dato che (cito Bacon), «non c'è una verità oggettiva su ciò che dovremmo mangiare, o come dovremmo mangiarlo».

Ma perché mi stai parlando di un oscuro attivista anti-dieta, Piacenza?

Calma, ci arriviamo. Ma se vuoi una prima risposta: perché Lindo Bacon, oltre ad avere tutte le credenziali per essere preso sul serio (ha un Phd ed è una voce presente e riconosciuta da decenni negli studi sulla nutrizione e sul peso, partecipa a convention, viene intervistato da chiunque si avventuri nel suddetto campo, eccetera), ha contribuito a creare e affermare un tipo particolare di attivismo: quello che ha nel mirino ciò che i suoi sostenitori italiani chiamano grassofobia.

Per Bacon e gli altri interpreti del relativamente nuovo filone dei fat studies, le campagne anti-obesità della sanità pubblica fanno più danni dell’obesità stessa, perché – dicono – la cultura della dieta tratta le persone grasse come individui di serie B, aumentando a dismisura l’ostracismo sociale di cui sono vittime: «Non si può muovere una guerra contro l’obesità senza muovere guerra alle persone che abitano quei corpi “obesi”» (la citazione è sempre di Bacon).

L’approccio di Health at Every Size (HAES) è dichiaratamente intersezionale: i suoi sostenitori dicono che «non si può smantellare l’oppressione del peso e della taglia senza occuparsi dell’intersezione di tutte le oppressioni», e accostano regolarmente l’esperienza dei sovrappeso a quella degli afroamericani, a quella delle persone queer e a quella degli affetti da disabilità, oltre a pescare a piene mani dal Pantheon dell’identity politics (soprattutto Judith Butler e Michel Foucault).

Il movimento ha anche un giornale scientifico di riferimento, nato in Gran Bretagna (dove la presenza degli attivisti anti-grassofobia è storicamente radicata): si chiama Fat Studies. Ma ovviamente il consenso medico-scientifico va in tutt’altra direzione: essere fortemente sovrappeso, per quel che ha appurato ad oggi la scienza, espone a enormi rischi di salute ed è associato a uno stile di vita generalmente malsano e dannoso. Mettere in dubbio questa verità scientifica, dicono i detrattatori dell’HAES (e io con loro, per quel che vale) significa esporre le persone a conseguenze potenzialmente letali.

Ma torniamo a Lindo Bacon: con quel curriculum da maître à penser della rivolta alla dieta, con i suoi interventi da portavoce, col suo pedigree da attivista sarà amatissimo dai suoi, no?

Eh, no: è appena stato, com'è che si dice, cancellato.

I fatti sono questi. A settembre del 2021, Bacon contatta l’Association for Size Diversity and Health (titolare del copyright del marchio Health at Every Size) per ottenere il suo nulla osta alla pubblicazione di una versione riveduta e corretta del suo libro del 2008: l’associazione gli fa sapere che un altro tomo da lui firmato avrebbe «perpetuato i danni mettendo al centro l’esperienza e la prospettiva di una persona relativamente benestante, magra e straight-sized» (cioè non sovrappeso: comincia a notare come *non* si cita il suo essere un uomo trans).

Lindo Bacon però non ci sta a lasciar scadere i diritti del tomo e a passare il famoso metaforico microfono a una persona più oppressa, come apertamente caldeggiato dall’Association: si mette a scrivere personalmente a potenziali co-autori col curriculum giusto per realizzare una versione a quattro mani di Health at Every Size. Contatta, tra gli altri, Marquisele Mercedes, un’«attivista grassa, nera e disabile» del fronte della fat liberation, che non solo rifiuta il sodalizio con lui, ma ne pubblica un resoconto al vetriolo sul suo Patreon.

Mercedes posta anche un lungo dialogo avvenuto su Zoom tra lei e Bacon. Consiglio di leggerlo anzitutto perché è una specie di guida introduttiva e legenda in compendio per capire come ragionano i sostenitori più hardcore delle identity politics. Dice lei:

[...] e so anche che c'è una dinamica di potere integrata tra noi due, ma non è perché tu hai scritto il libro originale. È perché sei una persona magra che sta cercando di fare un lavoro trasformativo in questo spazio. Ma tu sei magro e io sono grassa, e questa è la dinamica di potere. E io sono nera e tu non lo sei. Questa è la dinamica di potere, non il fatto che tu abbia scritto il libro originale.

E lui, di rimando:

Parte del motivo per cui sono orientato a scegliere te è perché riconosco il punto debole del mio libro. Sono stato una persona molto privilegiata a scriverlo e ora lo capisco, vedo tutti i modi in cui il mio privilegio mi ha portato a scrivere un libro che era per altre persone privilegiate.

Non sorprendentemente, nella comunità di riferimento scoppia il merdone tonante. Anche l’ente dietro HAES pubblica una pagina web titolata senza indugi «Holding Lindo Bacon Accountable», con una lista delle colpe e delle mancanze del suo eroe di ieri. Non pochi utenti lo accusano direttamente di opprimere le persone sovrappeso, cancellando le loro «lived experiences».

Il fu portavoce dei grassi d’America finisce a postare una mestissima grafica di scuse realizzata con un modello preimpostato di Canva, mentre nelle risposte al suo tweet attivisti e passanti rincarano la dose di j’accuse, dicendo anche di essersi pentiti di aver comprato quel suo libro anni fa.

È una storia esemplare, questa, perché racconta – pur su un piano inclinato, che è quello degli Stati Uniti rispetto all’Italia – cosa può accadere nel tritacarne dei social media e dell’economia dell’influenza anche ai più affermati e stimati portavoce di un movimento solidale. Anzi, pardon: non ciò che «può accadere», bensì ciò che accade.

Quando persone sensate, rispettose e di sinistra criticano certe applicazioni “oltranziste” dell’approccio intersezionale di alcuni attivisti, non di rado si riferiscono esattamente a questa deriva: quella che porta con sé il rischio che la prospettiva da cui osservare le istanze diventi una sorta di insensata patente a punti, per cui, parafrasando, sarai sempre l’oppressore di qualcun altro. Anche se sei un uomo trans che condanna la grassofobia da decenni.

Altre news dal fronte

  • In Oklahoma da qualche giorno l’aborto è un reato che può portare a pene fino a dieci anni di detenzione. Ma sono diverse le iniziative legislative statunitensi che mirano a riportare indietro le conquiste di decenni di lotte progressiste che pensavamo basilari e intoccabili: secondo il New York Times solo quest’anno 30 Stati hanno introdotto nuovi abortion bans: che diavolo sta succedendo? E perché gli statunitensi non scendono in piazza tutti tipo subito?;
  • Un articolo del Washington Post, purtroppo abbastanza stupido ma comodamente à la page, che sostiene che la Nato sia, a tutt’oggi, un’organizzazione intrisa di colonialismo e razzismo;
  • L’editorialista conservatore del New York Times Ross Douthat ha scritto un pezzo sensato e misurato sullo stato del discorso intorno alle terapie per gli adolescenti transgender in America, esattamente il tipo di cosa che ha senso leggere anche se si è in tenace disaccordo con la prospettiva dell‘autore: «C'è un divario tra ciò che le persone sono disposte a dire in pubblico e ciò che pensano davvero che non ha precedenti in nessun tema controverso che abbia mai visto»;
  • Questo secondo me è un bel tweet;

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