“E i bambini? Chi ci pensa ai bambini?”

Ciao, sono Davide Piacenza e questa è Culture Wars, la newsletter che ti insegna a navigare le acque tumultuose della conversazione globale, e che – permettimi di vantarmi un attimo – ha raccolto più di 500 sesterzi a pochi giorni dall’inizio di una raccolta fondi per migrare di piattaforma e allargare il progetto che ruota attorno a queste email settimanali.

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Non dire “gay”

Oggi voliamo in Florida, per parlare meglio di una legge che ha monopolizzato il dibattito pubblico e la politica d’oltreoceano. È il Parental Rights in Education Act voluto dal governatore repubblicano Ron DeSantis, che proibisce la «discussione» e l’«istruzione» riguardanti «l’orientamento sessuale o l’identità di genere» nelle classi scolastiche di alunni di età compresa tra i quattro e gli otto anni. Ma norma anche – con definizione accuratamente vaga – i riferimenti a questi temi fatti «in un modo che non è adeguato all'età o allo sviluppo degli studenti in conformità con gli standard statali».

Secondo i critici della legge, che l’hanno ribattezzata “Don’t Say Gay”, l’enunciazione fumosa del testo mira a estenderne l’impatto oltre le classi dei più piccoli delle scuole elementari, fino a mettere in cattiva luce ogni riferimento alle persone Lgbt+ nella pubblica istruzione della Florida.

La destra americana sta cavalcando questa legge per sferrare un’offensiva molto più ampia del suo campo di applicazione, e che travalica i confini del Sunshine State. Lo si nota a partire dalle sue reazioni alle critiche: la portavoce di DeSantis Christina Pushaw a marzo, prima che l’iniziativa legislativa venisse approvata, ha dichiarato pubblicamente che i suoi detrattori erano «probabilmente degli adescatori di bambini».

E lo stesso stanno facendo da settimane tanti altri suoi compagni di partito e di collocazione politica: Christopher Rufo è un personaggio noto per le sue popolari tirate contro l’insegnamento della “critical race theory” (nella sua definizione, pressoché qualsiasi riforma scolastica che dia maggiore peso alla schiavitù all’interno della storia statunitense). In questi giorni ha reagito alla scelta di Disney – che in Florida è un grande e importante datore di lavoro: c'è Walt Disney World a Orlando – di schierarsi contro la “Don’t Say Gay” dedicando un dossieraggio delirante e ossessivo su Twitter ai casi di dipendenti della società arrestati per casi di molestie ai minori. E grooming, “adescamento”, è la parola che le macchine social della destra americana hanno scelto di rendere virale negli ultimi giorni, in una caccia alle streghe in servizio permanente.

Abigail Shrier, firma conservatrice del Wall Street Journal, ha partecipato al dibattito spiegando, sempre in un tweet, che quand’era ragazza coi suoi compagni si cercava «di dirottare la lezione ponendo alle insegnanti domande del tipo: “Hai un ragazzo?”. Loro non si concedevano mai a questi quesiti. Dicevano: “La mia vita privata non sono affari tuoi”. È la risposta corretta. Riportatecela indietro». Ma, al di là del manto di poetica nostalgia, c’è una bella differenza tra chiedere che tutti i maestri e le maestre possano schermirsi di fronte a domande personali, da una parte, e imporre che solo alcuni e alcune debbano evitare di parlare di loro stessi, dall’altra. Perché nel secondo caso la discriminazione è chiara come il sole, e inaccettabile.

Un rincoglionito di cantante country audito dalla Camera dei rappresentanti del Tennessee, John Rich, è arrivato ad accostare i bibliotecari scolastici che permettono ai ragazzini di accedere a libri dai contenuti «espliciti» ai tizi col furgone bianco che «aspettano» i bambini fuori dalle scuole. E il raffinato accostamento era appannaggio dei secondi, perché «gli alunni dal furgone potrebbero sempre riuscire a scappare», per usare le parole di Rich.

Per opporsi a un mondo che cambia in una direzione che non fa comodo a ciò che rappresentano (né, soprattutto, a ciò che hanno abbracciato col trumpismo), i Repubblicani stanno cercando di propagandare quello che gli americani chiamano moral panic, un panico morale, sul tema dell‘istruzione dei bambini piccoli. Eppure i più importanti e recenti sondaggi disponibili dicono che i genitori americani sono in realtà molto più soddisfatti che in passato di ciò che i loro figli imparano a scuola. Segno che gli strali della destra sono rivolti ad altri contesti e altri destinatari, che con le legittime preoccupazioni di padri e madri c’entrano poco.

Il ricorso alla celebre allarmata battuta della moglie del reverendo Lovejoy de I Simpson («Perché? Perché nessuno pensa ai bambini?») è in realtà una strategia di lungo corso della destra internazionale: buttarla sulla presunta corruzione della gioventù operata dalla sinistra è storicamente un asso nella manica dei conservatori almeno dagli anni Cinquanta, quando si è iniziato a parlare di una “questione giovanile”.

E accade a ogni latitudine: in India, il partito Bharatiya Janata del presidente Narendra Modi ha una lunga storia di attacchi alla sinistra e alla sua intellighenzia, ripetutamente accusata di aver «occupato» l’accademia e aver portato i giovani indiani a tradire la loro nazione con idee pericolose e deviate.

In Italia basta fare un nome: Bibbiano, il paesino della più grande operazione di psico-propaganda politica degli ultimi anni, comprensiva di fake news martellanti e migliaia di sinistri adesivi inquisitori incollati a ogni palo e fermata dell’autobus del Paese.

Negli Stati Uniti, invece, prima dell’ultima wave i super-destri più creativi avevano portato il mainstream a parlare del cosiddetto Pizzagate, la lisergica teoria secondo cui gli esponenti più in vista del Partito democratico americano – a partire da Hillary Clinton e il marito Bill, immancabili – sarebbero stati coinvolti in un giro di pedofilia che orbita attorno a un’anonima pizzeria di Washington (finché una persona non propriamente stabile non ci si è recata con un fucile carico e ha sparato).

E dire che forse tutto questo ascendente dei «cattivi maestri» sui giovani e giovanissimi è grandemente sopravvalutato. Nel 1978 Ronald Reagan si espresse su una proposta di legge californiana che avrebbe impedito a una persona omosessuale di lavorare in una scuola pubblica dello Stato: i sostenitori della misura ci vedevano l’opportunità di «proteggere» i bambini da adulti pronti a «reclutarli» per stili di vita contrari alla tradizione.

Ma Reagan, che pure non era esattamente una guardia rossa, rispose con una battuta che chiudeva la questione senza ammettere repliche: «Se gli insegnanti avessero un tale potere sui ragazzi, io sarei diventato una suora parecchi anni fa».

Altre news dal fronte

  • Il direttore esecutivo del New York Times Dean Baquet è comprensibilmente stufo dell’ossessione per Twitter di molti seguitissimi membri della sua redazione, e ha diramato una circolare interna che chiede loro di «ridurre significativamente» il tempo che passano sulla piattaforma, ricordando peraltro che attaccare o “subtwittare” i colleghi va contro i valori della testata ed è un comportamento da evitare;
  • Il comico Louis C.K. qualche giorno fa ha vinto un Grammy per il Miglior comedy album con Sincerely Louis C.K., il suo ritorno sulle scene dopo lo scandalo sessuale che l’ha visto ammettere, nel 2017, di essersi masturbato di fronte a donne non consenzienti. Comprensibilmente, la cosa ha fatto alzare qualche sopracciglio. L’Hollywood Reporter l’ha definita nientemeno che «un dog whistle per i predatori sessuali» dato che «perdona i loro abusi fintanto che offrono scuse superficiali (spesso redatte dai loro publicist) ed entrano in clandestinità per tipo un anno». È una prospettiva di cui parlare: è giusto escludere un artista per le colpe di cui si è macchiato? Come si misura la sincerità del suo pentimento? Quale sarebbe un termine temporale adatto a sanare le ferite generate dal suo comportamento? Ma ovviamente l’avvenimento ha anche dato il la a salti carpiati accalappia-like. Tipo:

Tutto giustissimo, eh, non fosse che Will Smith e Louis C.K. sono entrambi colpevoli di comportamenti quantomeno inappropriati, entrambi ne usciranno sostanzialmente illesi perché sono ricchissimi e potenti (nessuno ha «costretto» Smith a dimettersi dall’Academy, peraltro: l’ha scelto lui, poco dopo aver ritirato un Oscar, altro che «volete la testa di») e l’intersezionalità da catalogo premi Esselunga, in casi come questo, serve solo a confondere le acque;

  • Cosa succede quando sei una polacca anarchica che da generazioni si trova a dover temere l’imperialismo russo e i compagni della sinistra occidentale yé-yé ti spiegano che in realtà, vedi, è tutta colpa dell’espansionismo Nato: Zosia Brom su Freedom News, la più antica pubblicazione degli anarchici britannici.

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