Oltre la zuppa


Il 14 ottobre scorso due attiviste del gruppo Just Stop Oil sono entrate alla National Gallery di Londra e hanno aperto e gettato il contenuto di un barattolo di zuppa al pomodoro Campbell’s su I girasoli di Vincent van Gogh, che come buona parte delle opere di quel valore e importanza è protetta da una lastra di vetro.

Il 23 ottobre dei manifestanti del gruppo ambientalista tedesco Letzte Generation (Ultima Generazione) hanno tirato purè di patate su I covoni di Claude Monet, dipinto impressionista custodito nel Museo Barberini di Potsdam. E giusto ieri, al Museo Mauritshuis dell’Aia, altri attivisti di Just Stop Oil hanno preso di mira La ragazza con l’orecchino di perla di Johannes Vermeer.

I gruppi di dimostranti, dopo essersi incollati le mani alla parete dell’opera, hanno fatto seguire alle azioni dimostrative brevi spiegazioni dei loro gesti: «Cosa vale di più, l’arte o la vita?», ha urlato una manifestante a Londra, «siete più preoccupati della salvaguardia di un quadro che della salvaguardia del pianeta?». In Germania una delle artefici della protesta si è rivolta agli astanti dicendo:

Ci troviamo in una catastrofe climatica, e tutto ciò che temete è un po’ di zuppa di pomodoro o purè su un dipinto. Quando ascolterete, finalmente, e smetterete di far finta che vada tutto bene?

Di questi gesti si è parlato infinitamente negli ultimi giorni e settimane: il ministro degli Esteri britannico James Cleverly ha definito gli attivisti «lattanti vestiti da adulti in cerca di attenzione»; il commentatore statunitense Ross Douthat ha visto una contraddizione in termini nel chiedere meno combustibili fossili e contemporaneamente un’energia meno cara; l’esperto di sostenibilità e ambiente Jonathan Foley ha detto di non essere sicuro che le protezioni siano sufficienti a proteggere le opere, aggiungendo che questi gesti potrebbero aumentare a dismisura i costi di gestione dei musei.

Più in generale, le azioni dimostrative hanno attirato una robusta dose di critiche, spesso articolate attorno all’assunto che vuole che trovate del genere allontanino possibili alleati delle cause ambientaliste: chi mai vorrà fare qualcosa per il clima, se l’attivismo climatico prende di mira le opere d’arte più amate del mondo?

In realtà questo ragionamento, pur rispettabile, mi sembra mancare un punto importante: la zuppa sul van Gogh e il purè sul Monet non sono pensati per creare consenso «riformista» intorno a una particolare causa, bensì per rompere in modo pirotecnico quel che gli attivisti vedono come un sostanziale disinteresse dell’opinione pubblica verso le sorti del pianeta. E, nel mentre, garantire un po’ di visibilità per i loro gruppi di appartenenza (quanti nel grande pubblico conoscevano Just Stop Oil fino a all’altro ieri?). L’ha dichiarato anche la stessa Phoebe Plummer, una delle due giovani donne che hanno imbrattato I girasoli a Londra:

Riconosco che sembra un’azione un po' ridicola. Sono d'accordo, è ridicola. Ma non stiamo ponendo la questione: “Tutti dovrebbero gettare zuppa sui quadri?”. Stiamo avviando un discorso in modo da poter porre le domande che contano.

Certo, sui social network si è discusso quasi esclusivamente di vetri protettivi, zuppe e opere d’arte, e relativamente molto poco delle questioni che gli attivisti hanno cercato di mettere al centro del dibattito. Ma non è affatto detto che azioni come quelle che abbiamo visto negli ultimi giorni – e ce ne sarebbero diverse altre da citare, dalle gomme dei Suv bucate a Torino al blocco di un ponte sul Tamigi a Londra – siano nocive per il supporto alla causa climatica: è possibile che anche quel poco parlare di climate change abbia una sua efficacia.

Che preoccuparsi per il clima sia una priorità non più rimandabile è dimostrato dall’attualità di questi giorni di fine ottobre che stiamo passando in maglietta: solo 26 dei 193 Paesi che hanno firmato gli accordi di Glasgow sul clima l’anno scorso hanno presentato piani di riduzione delle emissioni di un qualche spessore, ha scritto il New York Times. Ma anche discutere delle zuppe potrebbe avere una sua efficacia, dopotutto. Il ricercatore di movimenti sociali James Ozden ha provato a fare il punto sui dati e le ricerche disponibili in materia, che sebbene lungi dall’essere esaustivi suggeriscono che, beh, organizzare una protesta eclatante e divisiva si rivela più utile di non fare niente.

Personalmente mi trovo in disaccordo soprattutto con chi ha visto in queste dimostrazioni un’incarnazione di ciò che chiamiamo «attivismo performativo», cioè la tendenza a dare un supporto di facciata alle buone cause, spesso per mettersi in una luce comodamente positiva e ottenerne i preziosi like a corredo.

Ecco, non penso proprio che quello dei membri di Just Stop Oil sia «attivismo performativo» (una pratica di cui, beninteso, mi considero tra i detrattori più inflessibili): la performance attivistica ad alzo zero è quella per cui basta un tweet che ci auto-dichiara depositari di virtù, o fedeli alleati di una causa che in realtà potremmo anche non sostenere affatto. Se non cogliamo la differenza tra questo e l’essere disposti a farsi arrestare e ingiuriare in un luogo pubblico, legando per sempre il proprio volto a un gesto per molti intrinsecamente scellerato come l’imbrattamento di un capolavoro, allora forse il nostro problema va oltre quel po’ di purè.

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  • Dunque è arrivata la quarta stagione di Boris, che noi tutti fan vecchi e nuovi aspettavamo tipo Natale. L’ho già vista per metà, e ho trovato molto azzeccato l’adattamento dei contenuti a questi anni, specie nel modo in cui cattura i cambi di casacca gattopardeschi di quelli – aziende e privati cittadini – che cercano di saltare sul carro politicamente corretto della Diversity & Inclusion con goffe inversioni a U. Senza troppi spoiler, ti basterà sapere che il buon Biascica, colto nell’atto del suo solito insulto ai sottoposti, si ricorda del corso di linguaggio inclusivo aziendale a cui è stato sottoposto e si corregge in un più accettabile «’Ammerdu!»;
  • Alcuni ruoli accademici sono inerentemente conservatori? Un bel thread di Liam Bright, che lavora nell’università ed è, per inciso, uno dei profili più intelligenti che seguo su Twitter;
  • Una giornata qualsiasi su Twitter (non provare a capirci qualcosa: non c’è niente da capire, davvero):

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