E non sentirlo 🎂


Era il 3 dicembre 2021, e il qui presente Davide Piacenza inviava a poco più di un centinaio di fortunelli la prima edizione di questa newsletter, dedicata alla stramba fissazione della destra per un’innocua circolare terminologica dell’Unione Europea. Non si sa come ma da quel giorno sono passati dodici mesi, e i fortunelli sono diventati 1600.

Che dire, se non “grazie, pubblico”? Beh, forse che ho approntato un sondaggio per tirare le somme di questo primo anno insieme: spero lo userai per dirmi che ne pensi di Culture Wars, su cosa può migliorare e cosa può fare più spesso (bastano trenta secondi, ho cronometrato).

Intanto, questa settimana mi sono imbattuto nell’ennesima dimostrazione della tossicità di un signore di cinquantuno anni, incidentalmente l’uomo più ricco del mondo: Elon Musk. E poi sono anche rimasto a bocca aperta di fronte a come la pubblicità di un marchio di alta moda ha rilanciato le cattedrali di paranoia più in voga tra i nuovi reazionari digitali. Ma andiamo con ordine: prima Musk.

Intendiamoci, per capire che il miliardario sudafricano non sia in buonissima fede basta dare un’occhiata a quel che posta sulla piattaforma di cui è il nuovo dominus, Twitter: dallo scorso 23 novembre ha sospeso la policy anti-disinformazione a tema Covid del sito; si è attardato in pressoché qualsiasi tipo di trolling per mettersi in mostra, facendo finire fra i trending topic il trumpianissimo soprannome «Chief Twit» a coronamento dei suoi sforzi; e, proprio come Trump, attacca ormai incessantemente tutto ciò che è progressista e in odore di media mainstream.

Un articolo di The Intercept analizza come il nuovo corso di Twitter stia agevolando attivamente l’estrema destra, riammessa sulla piattaforma dopo l’amnistia voluta da Musk: tra le altre cose il social ha appena sospeso indefinitamente il profilo di Chad Loder, ricercatore di sicurezza e antifascista che col suo lavoro ha portato all’identificazione di un estremista di destra che ha aggredito un poliziotto durante l’assalto al Congresso americano del 6 gennaio 2021.

Loder non è l’unico a cui è toccata questa sorte: dozzine di altri profili di giornalisti e attivisti progressisti sono spariti nel giro di qualche settimana, sfruttando la scomparsa del team di Twitter che – prima di licenziarsi in massa, accusando il nuovo proprietario di gestire l’azienda in modo dittatoriale – si occupava di evitare quelle che le policy definivano «manipolazioni della piattaforma». Musk stesso, peraltro, non fa mistero di intendersela molto con personaggi e post dai connotati più che ambigui, che fanno della lotta senza quartiere alla sinistra woke, quasi sempre resa il Male assoluto, una ragione sociale.

E pensare che il signor Musk si era presentato – e ancora si presenta, assurdamente – come garante del «free speech», e appena un mese fa prometteva che Twitter sotto il suo regno avrebbe avuto un «consiglio di moderazione dei contenuti con punti di vista ampiamente diversi», per non scontentare nessuno.

La verità è che della «libertà di espressione» a Musk, Trump e relativi sostenitori non importa granché: la useranno come bandierina fintanto che gli farà comodo (e quando si viene sospesi da una piattaforma che proibisce, seppure in maniera migliorabile, discriminazioni e discorsi d’odio, fa comodo di certo), poi la getteranno via.

Il problema è che, nel frattempo, per tante persone che passano troppo tempo online il concetto stesso diventerà una foglia di fico reazionaria: a che ci serve, questo free speech? A permettere a un miliardario di fare comunella coi razzisti?

E ora come ora, come si fa a spiegar loro che la libertà di per sé non è un meme, una red flag o il sottoprodotto delle derive del capitalismo digitale, né, come diceva Gaber, «star sopra un albero»: libertà, per l’appunto, «è partecipazione».

Alla festa di compleanno di otto anni del vispo bambino Elon Musk partecipano soltanto i suoi amichetti più stretti, che incidentalmente fanno tutti i ruttini senza mettersi la mano davanti alla bocca e sono dispettosissimi: niente male per la piazza comune digitale su cui, a dire dello stesso festeggiato, si sarebbe dovuto costruire «il futuro della civiltà».

Altre news dal fronte

  • Ti invito caldamente a cercare «Balenciaga» su Twitter in questo momento: perché non appaiono foto di capi e calzature stravaganti ma discorsi sulla – uh – pornografia infantile? È presto detto, e c’entra la fissazione pluridecennale dei reazionari più complottisti per il grande tema del (mai verificato) sfruttamento dei bambini operato da una sinistra malvagia e priva di scrupoli, una grande chiesa cospirazionista che va da Bibbiano al Pizzagate. Il brand di alta moda ha cercato di fare ciò che cercano di fare tanti poveretti del suo settore, cioè di «osare» sempre e comunque, e «osando» ha diffuso gli scatti di una campagna marketing che raffigurano una bimbetta con in mano un orsacchiotto che veste... sadomaso? Esattamente, what-the-fuck. Fatto sta che la destra internazionale ci si è buttata a pesce, e da Tucker Carlson su Fox News fino ai matti di Twitter (non che fra i due poli intercorra troppa differenza, si intende) troverai centinaia di migliaia di like accordati a pacatissimi utenti secondo cui chi veste Balenciaga «promuove la pornografia infantile e va cancellato». E meno male che a «cancellare» erano quegli altri. Io, in ogni caso, per fortuna sono troppo squattrinato per promuovere alcunché;
  • C’è la Wellcome Collection di Londra che ha vinto il Wokolino d’Oro (premio la cui esistenza ho appena inventato per il tuo sollazzo) con un thread spiazzante che, in mezzo ad alcune riflessioni legittime, sostanzialmente dice che un museo è intrinsecamente razzista (ma anche cose più lunari);
  • L’impero romano? Mai esistito: è stato un’appropriazione culturale dei popoli indigeni europei orchestrata dalla Chiesa, almeno secondo questa qui.

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