Anno formidabile, quello


Mentre ero disattento si è fatto il 16 dicembre, il che significa che il 2022 – il caro, vecchio 2022 – si appresta ad andare in pensione e scomparire dai radar e dai nostri scontrini. Che anno è stato, chiedi? Mah, tirare le somme è sempre complicato, ma di certo sono successe parecchie cose, il mondo è stato sull’orlo dell’Apocalisse 4 o 5 volte – come ormai ogni anno – e io, nel mio piccolo, ho avuto le mie avventure e disavventure.

Più interessante, però, è fare un ricco recap di quel che il 2022 è stato sul fronte di quelle che chiamiamo sbrigativamente “guerre culturali”; un fronte che – questa newsletter, in piccolo, ne è la prova – è letteralmente esploso negli ultimi tempi, e che non finisce di regalarci polemichette, screzi, shitstorm e quant’altro.

E allora niente: eccoti il recap.

Gennaio

Nel primo mese dell’anno, gli Stati Uniti d’America fanno i conti col primo lugubre anniversario dell’assalto al Campidoglio caldeggiato – diciamo così – dall’ex presidente Donald Trump. Joe Biden parla apertamente di «una battaglia per l’anima americana», mentre i retroscena del 6 gennaio precedente mostrano come il tycoon abbia giocato un ruolo centrale nell’aizzare la folla.

In other news, la corte di Bristol, in Inghilterra, archivia ogni accusa nei confronti dei militanti di Black Lives Matter che avevano rimosso e gettato nel porto locale una statua dedicata allo schiavista Edward Colston nel 2020. Intanto il 10 gennaio quella boccaccia di Papa Francesco fa gli auguri al Corpo diplomatico vaticano con un misurato pippone sulla cancel culture, spiegando che «si va elaborando un pensiero unico – pericoloso – costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee». E a fine mese il consiglio scolastico della contea di McMinn, in Tennessee, vota per rimuovere da ogni classe Maus, la graphic novel di Art Spiegelman sulla Shoah premiata col Pulitzer.

Febbraio

Nel mese più corto dell’anno scoppia la grande protesta a suon di hashtag contro Spotify e il suo super-podcast di Joe Rogan, che si è attardato a diffondere un po’ troppe balle sul Covid-19 e non solo, mentre sul palco sanremese del teatro Ariston Checco Zalone viene accusato di transfobia per un suo sketch.

Ma nemmeno si finisce di portare via i fiori, che arriva la famigerata petizione contro lo schwa di un gruppo di linguisti capeggiato da Massimo Arcangeli. E come non ricordare con una lacrimuccia 🤡 le quasi sempre intelligenti 🤡 polemiche sul colore della pelle degli elfi del nuovo Signore degli anelli di Amazon?

Marzo

La Russia invade l’Ucraina, e allora l’Università Bicocca di Milano pensa bene di cancellare un corso dello scrittore Paolo Nori su Dostoevskij «per evitare ogni forma di polemica in un momento di forte tensione». Intanto, un’incredibile attivista asessuale scompone il significato profondamente afobico del detto «fate l’amore non fate la guerra» (questa è probabilmente la mia cosa preferita dell’anno, lo ammetto). Poi Will Smith dà una pizza in faccia al collega Chris Rock alla cerimonia degli Oscar, e chissà come la questione diventa un problema di razzismo.

Aprile

Tiene banco la Bibbiano d’America: Ron DeSantis, governatore della Florida e star repubblicana, ha firmato la legge “Don’t Say Gay”, che impedisce alle scuole di trattare temi Lgbt+, mentre la macchina della destra online rilancia le accuse di grooming, cioè adescamento di minori, ai suoi nemici politici. Intanto Zosia Brom, anarchica polacca, implora i compagni di smetterla di dividere tutto in pro-Nato e anti-Nato.

Maggio

In Italia è il mese dell’adunata degli alpini, che quest’anno va in scena a Rimini e si porta dietro una mole inusitata di denunce di molestie e polemiche: forse qualcosa è cambiato. A Buffalo, nello Stato di New York, un diciottenne usa un’arma d’assalto su cui ha inciso frasi razziste per fare una strage in un supermercato frequentato da afroamericani: nel suo delirante “manifesto” ci sono teorie che hanno ripetuto, identiche, anche le più alte cariche del governo italiano in carica.

Giugno

Arriva la sentenza sul processo Johnny Depp-Amber Heard, che ha monopolizzato internet e i discorsi che orbitano attorno alle culture wars per almeno tre mesi, e noi ne parliamo qui. Intanto al Washington Post succede il finimondo quando una giornalista costruisce una campagna martellante di accuse sulla pubblica piazza per il retweet di una battuta sessista di un collega (di questo, invece, parliamo qui). Poi la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America smantella la sentenza Roe vs. Wade, che dal 1973 garantiva il diritto all’aborto nel Paese (qui).

Luglio

Fa caldissimo, non piove, eppure sui media nostrani si continua allegramente a negare i cambiamenti climatici. Intanto a Milano il calciatore Tiémoué Bakayoko viene scambiato per uno spacciatore e perquisito senza molta gentilezza dalla polizia, mentre a Minneapolis gli attivisti di BLM se la prendono con la vicina di Tekle Sundberg, un ragazzo con problemi mentali che le ha sparato in casa.

Agosto

Trent’anni dopo la fatwa, Salman Rushdie viene accoltellato a un evento pubblico nello Stato di New York da un giovanissimo musulmano del New Jersey, che ai tempi della pubblicazione dei Versi satanici non era nemmeno nato. Ecco perché la libertà di espressione è una cosa seria.

Settembre

Chiude Kiwi Farms, un postaccio dell’internet dedicato a dossieraggi e molestie mirate e spesso razziste. Ma intanto esce una Sirenetta con protagonista Halle Bailey, che è nera, e dunque rieccoti 🤡 le quasi sempre intelligenti 🤡 polemiche. E, a fine mese, eccoti il governo Meloni: una manna, tipo.

Ottobre

Scoppiano le proteste delle giovani e giovanissime donne in Iran, che ci impongono di riflettere sul nostro ruolo di supporter occidentali. Il nuovo presidente del Senato, Ignazio La Russa, vede «cancel culture» nella rimozione di un ritratto di Benito Mussolini (te l’avevo detto che sarebbe stato una manna).

Novembre

Elon Musk si siede sul suo trono di nuovo dominus di Twitter, e si capisce subito come sarà il suo regno: fake news contro esponenti progressisti, vaghe e strumentali promesse di «libertà di espressione», e intanto una spiccata militarizzazione della piattaforma, con richiesta ai dipendenti di dedicarsi a una versione «hardcore» del loro lavoro o venire licenziati in massa (succedono entrambe, ma poco male: forse è la fine dei social media). Ah, intanto una tizia che ha gettato le caramelle dei figli ad Halloween diventa un caso nazionale negli Usa, e Balenciaga crea un grosso casino con una campagna pubblicitaria fraintendibile.

Dicembre

Con i Twitter Files, il disegno propagandistico di sòr Elon diventa ancora più chiaro, ma che qualcosa di opaco ci fosse nella gestione della piattaforma è cosa su cui fermarsi a riflettere. Vabbè, ne parleremo a Natale coi parenti, zio Franco saprà che fare.

Altre news dal fronte

  • Come forse sai, mercoledì sera c’è stata la seconda semifinale dei Mondiali di calcio, Francia-Marocco. Una partita che è stata più di una partita, da molte parti indicata come una guerra dei mondi: colonizzatori contro colonizzati, Europa contro Africa, Occidente contro Sud del mondo. Una lettura che ha un suo perché (in Francia vivono più di un 1 milione e 100mila marocchini, e il Paese africano è stato un protettorato francese per un cinquantennio, fino agli anni Cinquanta), ma che dimentica diversi altri pezzi: per cominciare, come ha detto la scrittrice Igiaba Scego, in entrambe le squadre militano «figli della migrazione». E poi, paradossalmente, anche il Marocco oggi è colpevole di un certo colonialismo: da decenni occupa illegalmente il Sahara occidentale, la vastissima area a sud dei suoi confini che ha ottenuto dalla Spagna, e dove secondo diversi report attua politiche di repressione e addirittura una pulizia etnica della popolazione indigena saharawita. Ma anche questa vicenda meriterebbe altre precisazioni: secondo l’autrice Fatima El Mouh, che è di origine saharawita e ho sentito su Instagram, nel Western Sahara «senza dubbio ci sono alcuni che vogliono l’indipendenza, e il Fronte Polisario sta portando avanti questo, dall’altra sono tanti che si sentono marocchini totalmente». Chi ha ragione? Tutti? Nessuno? Nel dubbio, meno certezze e più approfondimenti;
  • Maledetti genitori bianchi che tolgono culturalmente la gioia dai loro bambini! (Nel tweet commentato, ora rimosso perché postato da un account sospeso, c’era un banalissimo video di pochi secondi con bambini – bianchi – intenti a sorridere e divertirsi);
  • Tornando un attimo al calcio, una domanda molto americana che si è posta il Washington Post: perché Leo Messi quando gioca in nazionale non ha compagni di squadra neri? La risposta breve è che in Argentina ci sono poche persone afroamericane, ed è anche relativamente semplice: l’op-ed del quotidiano statunitense invece ci ha visto molto altro.

📧
Per informazioni, recriminazioni, segnalazioni: newsletter@culturewars.it

(aggiungi l’indirizzo ai tuoi contatti, altrimenti rischi che la newsletter finisca nella cartella Spam)
🌐
Newsletterati, una selezione di newsletter italiane da leggere.
Evviva! Hai completato l’iscrizione a Culture Wars. La correzione del mondo
Daje! Ora dai un’occhiata e considera di passare alla versione premium.
Errore! Iscrizione impossibile a causa di un link non valido.
Bentornato/a! Login effettuato.
Errore! Login non andato a buon fine. Per favore, riprova.
Evvai! Ora il tuo account è attivo, hai accesso a tutti i contenuti.
Errore col checkout via Stripe.
Bene! Le tue info di fatturazione sono state aggiornate.
Errore! Le tue info di fatturazione non sono state aggiornate.